Incontro con i fondatori: Stefano Rivolta

Incontro con i fondatori: Stefano Rivolta

Stefano Rivolta, ha accompagnato i primi passi della Detto Fatto e ci racconta una cooperativa, un quartiere e una città di Sesto che non abbiamo conosciuto. Stefano oggi vive e lavora a Sesto San Giovanni. Ci è stato sempre molto vicino quando abbiamo celebrato le tappe della cooperativa, a segnare il forte legame che ha mantenuto con la cooperativa. Oggi è ancora con noi e ci racconta la Sesto che vive oggi, invitandoci a riscoprire la Città!

Quali gli inizi con Detto Fatto?

Nel 1984 avevo 19 anni ed ero obiettore di coscienza. La cooperativa è stata costituita 19 dicembre; io sono salito sul treno della Detto Fatto quando era già partito.

Mi piaceva l’idea perché ho cominciato a lavorare molto presto e avevo anche esperienza di impresa nell’ impresa di mio padre. Mi sembrava una bella idea quella di coinvolgere i giovani; quindi ho detto “ok ci sono” ma non sapevo nulla deve delle cooperative e non avevo mai fatto parte di una cooperativa.

Come nasce l’ìdea Detto Fatto?

Quello che c’è da dire è che la cooperativa ha Detto Fatto nasce nel contesto della cooperativa Lotta contro l’emarginazione. Lotta contro l’emarginazione operava già sul territorio nel campo della disabilità, del disagio psichico e delle dipendenze. In quel momento aveva individuato la necessità di capire come impiegare i giovani che vivevano ai margini del mondo del lavoro. La Detto Fatto non nasce quindi dal nulla ma nasce in un territorio ampiamente animato e dalla domanda di dare risposte al disagio.

Tutto questo nasce quindi all’interno di un territorio in particolare nella Parrocchia della Resurrezione dove mi ricordo si svolgevano anche le prime riunioni della cooperativa.

Quali bisogni si intercettavano agli inizi?

Succedeva che c’era una gran quantità di giovani che rimanevano ai margini. Soprattutto quelli con meno strumenti, quelli con meno capacità di orientarsi. Dove c’è piena occupazione alla fine anche i giovani con meno strumenti riescono ad entrare nel mondo del lavoro. Per quello che ricordo questa era la lettura che era stata fatta e che ha portato alla costituzione di Detto Fatto. Si è deciso quindi che questo intervento non fosse un servizio di Lotta contro l’emarginazione, ma di creare qualche cosa dedicato espressamente al tema del lavoro.

Un ricordo con Detto Fatto…

Quando io sono arrivato mancava l’idraulico; siccome un mio amico di Desio che si chiama Sergio Verzini era idraulico, l’ho coinvolto ed è diventato subito socio della cooperativa. Sergio avrà avuto all’epoca 26 o 27 anni e dall’età di 15 anni faceva l’idraulico. Siccome era impegnato anche in attività sociali lo abbiamo subito coinvolto. I ragazzi del corso hanno fatto le esercitazioni della parte idraulica ed elettrica nel capannone di via Mantovani che è stata anche la prima sede della Detto Fatto.

Era un capannone in affitto davanti alla Parrocchia della Resurrezione. Le prime cose che io ricordo di avere fatto è stato di metterlo in ordine e di averlo pulito. All’inizio sono stati coinvolti alcuni pensionati: erano fabbri, saldatori, gente che aveva lavorato in fabbrica. Per la nuova sede hanno fatto una vetrata tagliando il ferro e saldando. Erano tutte cose che io non sapevo fare e quindi ho fatto da assistente a questi pensionati che hanno lavorato alla vetrata. Io ho messo in ordine e pulito. Soprattutto, l’esercitazione finale del corso è stata quella di rifare l’impianto elettrico e l’impianto idraulico del capannone.

Non ricordo quanti anni la sede della Detto Fatto sia rimasta in via Mantovani, ma ricordo che a un certo punto la sede è stata spostata in via Falck presso la sede del Mutuo Soccorso (ndr… dove siamo rimasti fino a Marzo del 2008). Al momento del trasloco verso via Falck io già via. La mia esperienza in Detto fatto è stata limitata al periodo del servizio civile…una ventina di mesi.

Diciamo che io nella fase di nascita ho fatto tante cose pratiche: organizzato il corso drop out, le pratiche formali per il corso, l’accompagnamento dei tirocini nelle imprese…

Quali risposte per la cooperativa dal territorio?

Subito dopo il decollo, hanno cominciato ad arrivare persone di grande valore come Alberto Risi che hanno proseguito l’esperienza di Detto Fatto.

C’era un bel clima, la cooperativa era nata in un contesto decisamente vivace ed era molto legata al territorio; questa è stata la cosa che forse si è più faticato a mantenere. Il corso era frequentato dai ragazzi del quartiere che tutti conoscevamo, i volontari erano persone che vivevano nel quartiere, le commesse arrivavano dal quartiere. Insomma, la cooperativa era inserita in un quartiere attivo e partecipato.

Oggi: che idea ti sei fatto su cosa deve fare la cooperativa?

Oggi io sono imprenditore e non ho più seguito l’esperienza delle cooperative. Però mi pare sussistano le motivazioni per continuare, intanto perché mi pare che i bisogni siano aumentati.

In Detto Fatto oggi ho capito che ci sono tante donne e tanti stranieri. Nel 1984 in Italia non esistevano gli stranieri. Alcuni bisogni sono nuovi e mi pare attuale la necessità di realtà che accolgono, che accompagnino e che propongano un’esperienza cooperativa. I bisogni ci sono ancora tutti, certo il contesto culturale è profondamente cambiato; quel clima che noi respiravamo non credo che sia il clima di oggi.

Questo è un problema anche perché è un po’ la cooperazione stessa, per quello che io vedo, che si è ritirata dall’idea di avere una funzione e un legame con il territorio. Io non faccio l’esame di coscienza a nessuno… però le difficoltà di oggi derivano dall’assenza di percepirsi attraverso un legame culturale e sociale con il territorio. Cioè il legame con il territorio ti salva: allora ci ha permesso di nascere e bisognerebbe trovare il ‘modo di ristabilirlo. E’ chiaro che oggi con 100 persone che lavorano è un po’ diverso: immagino che i lavoratori oggi non siano tutti di Sesto San Giovanni, immagino non facciano riferimento a un unico territorio.

Le cooperative allora erano nate con una funzione di animazione sociale… il tema non era quello di gestire servizi. Quello può farlo anche un’impresa. Un conto è essere cooperativa sociale, un conto è essere ente gestore. Ente gestore può essere qualsiasi impresa o una mezza cooperativa.

Quale il ruolo delle Cooperative sociali e, in particolare, di Detto Fatto?

Non penso che il tema sia quello di ripartire dal territorio quanto quello di recuperare la funzione sociale e culturale dentro la città. All’inizio delle cooperative, la distinzione fra operatori e volontari era una distinzione quasi insignificante; oggi le cooperative hanno quasi esclusivamente operatori professionali.

In una cooperativa di tipo B, il lavoro deve essere remunerato. Per quello che io ho capito, l’unica vera cooperativa che si ritiene sia rimasta a Sesto è la Detto Fatto perché ha mantenuto un corpo sociale di cooperativa, i percorsi fatti con i soci e con i lavoratori che vengono considerati come risorsa, sono degli investimenti. Oggi la cosa più importante è la cura dei processi, i risultati arrivano nel tempo, l’importante è curare i processi di partecipazione e di inclusione.

Nel 1984 si agiva in un contesto vivace, era vivace la città e non sole le cooperative. I pensionati arrivavano e avevano una storia di lavoro in cui erano stati delegati sindacali, avevano fatto le lotte per la salute per cui la cooperazione era un nuovo campo di azione sociale.

Oggi molte volte nella cooperazione sociale partiamo da persone che non hanno più questo retroterra e in qualche modo devi far funzionare la cooperativa anche da agenzia formativa con funzione sociale, a meno che – e questo potrebbe essere interessante – come cooperativa agisci con le agenzie sociali del territorio.

35 anni di Detto Fatto: come proseguire l’impegno sociale in un mondo così mutevole?

La Detto Fatto deve curare maggiormente le relazioni esterne e non solo quelle interne: le relazioni interne devono essere radicate nel territorio.

A Sesto chi si occupa di sociale, ha una buona opinione della Detto Fatto, che ha mantenuto fede alla propria Mission. Immagino che voi cerchiate di tenere insieme e in equilibrio la dinamica dell’azienda e quella della cooperativa.

Oggi sono due gli ambiti che creano ancora inclusione sociale: la scuola dell’obbligo e il lavoro.

Sicuramente la Detto Fatto ha un valore aggiunto perché oggi ha anche tanti lavoratori stranieri. Intanto il lavoro dà libertà e dignità a tutti, ma è anche un luogo dove la gente stringe legami basati sulla conoscenza, la comprensione e la solidarietà. Questo valore è bene non perderlo di vista: il luogo di lavoro può essere un laboratorio di novità e un’occasione preziosa che la rete della Città può arricchire.